Accademia dei Filaleti
LA STANZA DELL'ORA MATUTINA o VIGILIAE
(dalla 2° alla 3° ora, la notte)
- Le ore della notte vissute nel desiderio e nell'attesa della luce,
- quando la meditazione e l'invocazione preparano a ricevere il dono della visione.
Omero, Odissea IV, vv. 447-496
- Giace contro l'Egitto e all'onde in mezzo
- Un isoletta che s'appella Faro,
- Tanto lontana, quanto correr puote,
- Per un intero di, concavo legno,
- Cui striduo da poppa il vento spiri.
- Porto acconcio vi s'apre, onde il nocchiero,
- Poscia che l'acqua non salata attinse,
- Facilmente nel mar vara la nave.
- Là venti dì mi ritenean gli Dei:
- Né delle navi i condottieri amici
- Comparver mai su per l'azzurro piano,
- Le immobili acque ad increspar col fiato.
- E già con le vivande anco gli spirti
- Per fermo ci fallian, se una Dea, fatta
- Di me pietosa, non m'apria lo scampo.
- Idotéa, del marin vecchio la figlia,
- Cui fieramente in sen l'alma io commossi,
- Occorre a me, che solitario errava,
- Mentre i compagni dalla fame stretti
- Giravan l'isoletta, ed i ricurvi
- Ami gettavan qua e là nell'onde.
- Forestier, disse, come fu vicina,
- Sei tu del senno e del giudicio in bando,
- O degli affanni tuoi prendi diletto,
- Che così, a un ozio volontario in preda,
- Nell'isola t'indugi, e via non trovi
- D'uscirne mai. Langue frattanto il core
- De` tuoi compagni, e si consuma indarno.
- O qual tu sii delle immortali Dive,
- Credi, io le rispondea, che da me venga
- Così lungo indugiar ? Vien dai beati,
- Del vasto cielo abitatori eterni,
- Ch'io temo aver non leggiermente offesi.
- Deh, poichè nulla si nasconde ai Numi,
- Dimmi, qual'è di lor che qui m'arresta,
- E il mar pescoso mi rinserra intorno.
- E repente la Dea: Forestier, nulla
- Celarti io ti prometto. Il non bugiardo
- Soggiorna in queste parti Egizio veglio,
- L'immortal Pròteo, mio creduto padre,
- Che i fondi tutti del gran mar conosce,
- E obbedisce a Nettuno: Ei del viaggio
- Ti mostrerà le strade, e del ritorno,
- Dove, stando in agguato, insignorirti
- Di lui ti possa. E quello ancor, se il brami,
- Saprai da lui, che di felice o avverso
- Nella casa t'entrò, finché lontano
- Per vie ne andavi perigliose e lunghe.
- Ma tu gli agguati, io replicai, m'insegna,
- Ond'io così improvviso a Pròteo arrivi.
Virgilio, Eneide VI, vv: 180-229
I MONITI PER LA DISCESA
- La Sibilla risponde che discendere è facile, ma difficile tornar fuori.
- Bisogna trovare e cogliere il ramo d'oro che si cela in un albero del bosco.
- Se Enea vi riuscirà, potrà fare il viaggio; prima però
- dovrà dare sepoltura a un compagno morto.
- Così pregava, ed abbracciò gli altari;
- e la sacerdotessa allor riprese;
- " O progenie dardànide di Anchise,
- o generato da divino sangue,
- agevole è discendere all'Averno
- perché la porta dell'oscuro Dite
- è aperta notte e di; ma far ritorno,
- ma uscirne fuori all'aure della Vita,
- è questa l'opra, l'ardua impresa è guasta !
- Pochi han potuto ciò figli di dei,
- che benevolo Giove predilesse
- e che fiammeo valore assunse ai cieli,
- Tutto, nel mezzo, è folto di foreste,
- ed il Cocìto intorno le recinge
- con lento corso livido fluendo.
- Ma se hai tanto amore e tante brama
- di varcare due volte il lago stigio
- e di veder due volte il negro Tàrtaro;
- se vuoi tentare questa folle impresa,
- or odi quello che comparir tu devi.
- Celàsi in un'opaca àrbore un ramo
- che d'oro ha il fusto flèssile e le foglie
- e alla Giunone inferna è consacrato;
- tutta la selva lo ricopre, tutta
- lo chiude l'ombra delle valli oscure.
- Ma scendere non può nelle segrete
- vie della terra chi non abbia còlto
- dall'albero l'aurìcomo virgulto,
- ché la bella Proserpina prescrisse
- che recato le sia per suo tributo;
- se svelti il primo ne rispunta un altro
- pur d'oro, e d'oro il fusto gli s'infronda.
- Tu dentro dunque invéstiga con gli occhi
- per ricercarlo, e come tu lo scorga
- spìccalo con la man come è prescritto;
- esso la seguirà facile e pronto
- se te chiamano i fati; in caso avverso
- vincerlo non potrai per forza alcuna,
- stroncarlo non potrai con duro ferro.
- Ed anche un tuo compagno (ahi tu l'ignori!)
- morto si giace e privo ancor d'esequie,
- e tutta ti contàmina la flotta
- con la sua morte, mentre i miei responsi
- tu chiedi e indugi su le nostre soglie.
- Rèndilo prima alla dimora estrema,
- dàgli un sepolcro. E negre agnelle adduci
- e sian la prima espïatoria offerta.
- Ed allora vedrai le selve stigie
- e il regno inaccessibile ai viventi."
- E qui chiuse le labbra e qui si tacque.
da CANTI D'ESPERIENZA - 1794
LA TIGRE
- Tigre ! Tigre ! divampante fulgore
- Nelle foreste della notte,
- Quale fu l'immortale mano o l'occhio,
- Ch'ebbe la forza di formare
- La tua agghiacciante simmetria ?
- In quali abissi o in quali cieli
- Accese il fuoco dei tuoi occhi ?
- Sopra quali ali osa slanciarsi ?
- E quale mano afferra il fuoco ?
- Quali spalle, quale arte
- Potè torcerti i tendini del cuore ?
- E quando il tuo cuore ebbe il primo palpito,
- Quale tremenda mano ?
- Quale tremendo piede ?
- Quale mazza e quale catena ?
- Il tuo cervello fu in quale fornace ?
- E quale incudine ?
- Quale morsa robusta osò serrarne
- I terrori funesti ?
W. Blake
Ya no sé
- Non so quel che cerco eternamente
- nella terra, nell'aria e nel cielo;
- io non so quel che cerco; ma è qualcosa
- che ho perso non so quando e che non trovo,
- anche quando sogno che invisibile abita
- in tutto quel che tocco e quel che vedo.
- Felicità, non occorre cercarti
- nella terra, nell'aria, né in cielo,
- anche quando so che esisti
- e non sei vano sogno !
Rosalia de Castro
da "Mentre mangio un'esperienza"
SALMO
Marciana Marina 1997
- per Adonis, possente poeta arabo
- incontrato a Beirut nell'Aprile del 1959
- Il vento ha voce di mare,
- trapassa i capelli,
- li libera dai singhiozzi,
- dai nodi del pianto
- che non ha sfogato
- quando ho mangiato il rancio
- della disperazione
- in ombra di digiuno.
- Mi dolgo del cammino,
- del peso del sogno.
- Tutto quel che posseggo
- è la camicia del canto.
- per rimediare ai guai
- affondo le emani nella cenere
- delle gioie consumate
- Ed ecco, bevo soffi di desiderio
- mentre mordo la schiaccia
- impastata con gli inciampi,
- cotta al calore della preghiera.
Manrico Murzi
RA
Ogni scintilla di sole è luce
che cade e si espande.
Dentro ogni scintilla ci si ricompone
nel tempo passato, suggellati da
parole di mosaici antichi.
Colori e profumi di gesta ormai
segnati dal battere del tempo.
Un cuore di sabbia che vive in sincronia
in gravità e spazio.
Dentro un ponte di verità, di musica e occulta bellezza.
Guarda il volto di Ra dentro un sottile vetro
di arcobaleni il fluttuare del mondo.
Noi a rincorrere il tempo....
Lascia cadere una lacrima la dama velata
che guarda il destino.
Niente però può nascondere la verità
di un passato.
Siamo nel cerchio di mondi sconosciuti
la materia abbatte l'evanescenza dello spirito.
Siamo il rumore di un pugno chiuso battuto di rabbia.
Non possiamo negare a noi stessi di
ritrovare la chiave.
Cerca lo straniero dentro la tasca,
povero il pensiero ed arida l'iperbole
del suo volere.
Cieco entra nella spirale dove
si perde e si annulla...
Cercami nell'aria straniero di carta
ed attento a non bagnarti a non bruciarti
perchè conosceresti l'anima che ti avvolge.
Traccia con il tuo compasso il cerchio
della verità ed entra in esso fino a conoscere chi sei...
”Scintilla di sole”.A. Fais
IO
Io mi porto lontano
oltre il velo del tempo
invalicabile ai più
ove tutto è
Ad ogni passo
una parte di me
si è schiusa
lasciando cadere
solo vile zavorra
e del mio Io ritrovato
dispongo
stringendo nel pugno
la rosa d'oro
dell'Eternità.Carmelo Guardo
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